Pensando al primo post da scrivere nel blog, ero molto combattuta ma quale modo migliore di esordire se non trattare l’argomento della mia tesi di laurea triennale?

Nel settembre 2009 partii per partecipare al progetto Erasmus a Siviglia, con lo scopo di terminare gli esami e raccogliere materiale su quello che era il mio iniziale progetto di tesi. Casualmente scoprii che in Andalucìa nacque negli anni ’50-’60 un gruppo fotografico neorealista, che attirò immediatamente la mia attenzione: A.F.Al., acronimo di Agrupaciòn Fotogràfica Almeriense.

In quegli anni persisteva la dittatura nazionalista del generale Francisco Franco attraverso una capillare presenza nella politica, nella cultura e nella vita sociale unita ad una serrata censura e propaganda. La fotografia ufficiale era dominata dal movimento pittorialista, di cui esponenti di maggior rilievo furono José Ortiz Echagüe e Joaquím Pla Janini. (fig.1) In particolare, per poter nobilitare la fotografia, considerata semplice atto meccanico i fotografi applicavano alla fotografia tecniche e temi pittorici. Il mezzo di diffusione delle tendenze fotografiche di quegli anni era il salone, luogo di incontro e di esposizione riservata ad una stretta cerchia di fotografi. Un altro veicolo di promozione artistica erano le associazioni fotografiche dove vigevano rigide regole per gli iscritti come il divieto di nudo o l’ approvazione incondizionata alla propaganda politica. Si può ben intuire come la conseguenza principale fu l’omologazione dei fotografi e delle fotografie, dai valori estetici e tecnici ai soggetti ritratti.

A tutto questo si opposero a Carlos Perez Siquier e Josè Maria Artero con la fondazione di A.F.Al. nel 1950. Grazie ad un’ intensa corrispondenza epistolare, i due fondatori riuscirono a coinvolgere numerosi fotografi contemporanei dislocati in varie città della Spagna come José Maria Artero, Gabriel Cualladò, Francisco Gòmez, Gonzalo Juanes, Juan Colom Ramòn Masats, Oriol Maspons, Xavier Miserachs, Francisco Ontañòn, Alberto Schommer, Ricard Terré. (fig. 2)

Lo scopo fu quello di documentare la realtà umana così com’era, senza condizionamenti politici e privo di ritocchi tecnici. Si trattò di una fotografia semplice ma irrequieta, sincera ma rivoluzionario, cruda ma libera da univoci canoni estetici poiché ognuno dei fotografi mantenne la propria individualità. (fig .3-4-5), Nonostante l’isolamento culturale, politico ed economico imposto da Franco, furono numerosi per il gruppo i riferimenti e le influenze provenienti dal resto d’ Europa: dalla fotografia umanista esposta al MoMa di New York da Edward Steichen nel 1955 nella mostra The Family of Man, all’ ‟istante decisivo” di Henri Cartier-Bresson, dal neorealismo italiano alla fotografia soggettiva di Otto Steinert.

Le attività del gruppo furono supportate sia da mostre collettive che indipendenti e dalla pubblicazione dal 1956 al 1963 dell’omonima rivista AFAL che si trasformò da bollettino riservato ai soci a rivista per il grande pubblico. (fig .6) Sfortunatamente a causa di problemi economici l’impeto rivoluzionario di A.F.Al. si spense dopo pochi anni, unito dal disinteresse espresso dall’ ambiente fotografico conservatore e dalla progressiva professionalizzazione degli stessi membri. A sancire la “morte” di A.F.Al. Pérez Siquier e Artero pubblicarono nel ‘63

l’ immagine di una piccola lapide bianca di bambino circondata da erba alta ed incolta con su scritto Revista Afal 1956-1963 e nella pagina posteriore un corteo funebre. (fig. 7-8)

A concludere la bellissima esperienza dell’ Erasmus e della mia tesi, ebbi l’onore di incontrare personalmente Carlos Pérez Siquier al fine di intervistarlo. L’ occasione fu l’inaugurazione di una mostra dedicata al gruppo almeriense presso il Museo de la Autonomía de Andalucía in Coría del Río, un piccolo paese non molto lontano da Siviglia. Il fotografo si mostrò molto gentile e disponibile nel rispondere alle mie domande sulla genesi del Gruppo, le circostanze storiche e culturali in cui era immerso, la tutela e la diffusione del fondo fotografico A.F.Al. e i suoi reportages. (fig. 9-10)

Riconosco che, rileggere a distanza di tempo la mia prima tesi mi ha ricordato la fortuna vissuta allora e il motivo per cui sono imbattuta in questa avventura: l’entusiasmo per questo mondo e la voglia di conoscere nuovi sguardi, nuove idee e nuove storie.