Dopo la tempestosa quanto intensa relazione tra Stieglietz e la O’Keeffe, ho scoperto una nuova coppia nel mondo della fotografia. Il tutto ha inizio qualche giorno fa quando, sfogliando l’ultimo numero di Pagina99we, vengo folgorata letteralmente da un articolo di ben 5 pagine, dedicato ad una fotoreporter degli anni Trenta: Gerda Taro. Forse il nome non dice molto ma se si aggiunge che è stata la compagna nel lavoro e nella vita di Robert Capa, le cose cambiano un pochettino. Ci pensa Irme Schaber, dopo lunghe e ardue ricerche d’archivio, a tracciare, in Gerda Taro. Una fotografa rivoluzionaria nella Guerra Civile spagnola (2007), il profilo di una donna poco conosciuta ma intensamente presente nella storia della fotografia. Una donna controcorrente che ha documentato il fronte spagnolo con coraggio e sguardo attento.
Nata a Stoccarda, Gerta Pohorylle, conosce nel 1934 a Parigi l’ ungherese André Friedmann, in arte Robert Capa. Entrambi ebrei fuggiti in Francia dalle persecuzioni naziste, lui le insegna la fotografia e lei promuove i suoi lavori. Due anni dopo, partono con David ‘Chim’ Seymour per la Spagna dove era scoppiata la sanguinosa guerra civile. Ci ritorna nel 1937 per fotografare la battaglia di Brunete ma muore sul campo a soli 26 anni travolta da un carro armato. I funerali parigini a lei dedicati sono maestosi, circa 100mila presenti e la camera ardente presso la redazione del giornale per cui era sotto contratto, Ce Soir, rimane aperto per tre giorni. Gerda diventa così un’eroina antifascista, la prima fotoreporter donna a cadere in guerra. Capa le dedica poi un libro di fotografie sulla guerra civile spagnola, Death in the making (1938).
Poi il nome della Taro cade nell’ oblio così come le sue fotografie ma non banalmente per una questione maschilista. Da una parte, lo sterminio della sua famiglia, non aveva lasciato nessuno a cui affidare la custodia delle sue foto. In più le foto della fotografa, come quelle di Chim all’epoca venivano firmate e pubblicate sotto il nome di Capa, ben più famoso. Ma dopo il ritrovamento della celebre “valigia messicana” contenente 126 rullini di Taro, Capa e Chim trasportate da un amico di Capa fino a Bordeaux per salvarla dall’invasione tedesca, tutto cambia. Nel 1995 viene pubblicata la sua prima biografia di Irme Shaber (con successive riedizioni), nel 2007 l’ International Center of Photography di New York le dedica una mostra, compare nel documentario The Mexican Suitcase diretto da Trisha Ziff e gli Alt-J, le dedicano una canzone inserita nell’album An Awesome Wave (2012).
Come non si può sognare dietro una storia così?
Foto: © Gerda Talo