Fino al 7 dicembre 2019 è possibile visitare la mostra Tempi Complessi: la fotografia come veicolo d’integrazione dei linguaggi a cura di Fondazione Studio Marangoni di Firenze. Tra i progetti esposti, abbiamo intervistato il Collettivo Made in Prato composto dai fotografi Chiara Pirra, Michele Lapini , Max Cavallari e dalle artiste multimediali Giulia Deganello e Erica Giacomazzi.

Lavorando sugli aspetti sociali, culturali, politici ed economici di Prato, gli artisti hanno tentato di capirne le dinamiche di integrazione di una delle comunità cinesi più grandi in Italia. Si ridisegna così una nuova geografia culturale e urbana partendo appunto dall’interazione di culture coesistenti, italiana e cinese in questo caso, e di approcci espressivi dalla fotografia all’antropologia fino ad arrivare alla politica. Made in Prato è immagine, video e installazione ma anche una piattaforma online che ospiterà i singoli progetti, disponibili per pubblicazioni, mostre ed eventi pronti a stimolare nuove riflessioni.

 

Made in Italy

di Chiara Pirra

 

Da quali riflessioni nasce e si sviluppa il tuo lavoro “Made in Italy“?

L’idea nasceva da un bisogno maturato negli ultimi mesi ovvero creare materiale di ricerca che concretamente scardinasse uno degli slogan più inflazionati dalla politica nazionale degli ultimi mesi, ovvero “Prima gli italiani”.

In un mondo globalizzato che ogni giorno fa i conti con le conseguenze positive e negative di uno stile di vita contemporaneo in cui nuove invenzioni e tecnologie contribuiscono a scrivere un’accelerazione non solo della libertà di movimento individuale, ma anche di nuovi flussi migratori collettivi, concetti come nazionalità o confine non possono e non devono essere strumenti a cui ricollegarsi per parlare di diritti delle persone.

Da qui l’idea di lavorare con gli italiani di seconda generazione che rappresentano una contraddizione vivente che diventa in qualche modo la riprova di questa tesi. La contraddizione quindi come forma di smascheramento di tutto, da qui anche la scelta del titolo del progetto.

L’utilizzo di fotografia, video e intervista ti ha aiutato a raccontare la complessità culturale di una città come Prato?

Assolutamente si. Per me è stata la prima volta in cui sono uscita dai confini della sfera fotografica, attingendo anche al video e all’audio per le interviste.
Come dicevo il lavoro ha come soggetto gli italiani di seconda generazione, ragazzi che nella definizione del nome portano in sé una grande contraddizione: essere considerati immigrati senza aver mai compiuto in prima persona una migrazione, identificati come stranieri perché figli di immigrati. Italiani cresciuti come stranieri nelle loro città.
Non limitandomi al solo utilizzo di immagini da me prodotte, ma affiancando ad esse gli audio delle loro interviste è stato possibile far si che loro stessi contribuissero in prima persona alla stesura autoriale del progetto.

A Prato vivono i quattro ragazzi intervistati da te, ovvero Omar, Lisa, Melissa e Irma che appartengono a culture diverse eppure condividono la caratteristica universale di voler, nonostante tutto, realizzare i propri sogni. Questo secondo te può essere alla base di una nuova e libera società non più basata sui confini geografici?

Hai centrato l’intento del progetto. Volevo trovare qualcosa che collegasse tutti i ragazzi tra loro e che contemporaneamente li legasse a me, ma anche a chiunque vedesse il progetto per instaurare una forma di empatia. Così mi sono chiesta: “Cosa unisce ogni essere umano?”. La risposta che mi sono data è stata: tutti abbiamo un sogno da realizzare.
Accedere a quel tipo di informazione era una grande sfida per me, perché voleva dire instaurare un rapporto di fiducia con il soggetto tale da convincere uno sconosciuto a rivelarmi quale fosse il suo desiderio più intimo, alle volte un segreto mai rivelato a nessuno. Ma devo dire senza ombra di dubbio che è stata la parte più bella e più intensa, perché mi ha permesso di trascorrere con questi ragazzi diverse ore, con l’intento di farmi raccontare le loro storie intense, circondati dalla cornice di quelli che sono per loro i luoghi più significativi della città, scoprendo così Prato attraverso le loro vite.

 

LASCIARE QUALCOSA DI INCOMPIUTO
半途而废 – bànrú’érfèi
di Max Cavallari

 

 半途而废 – bànrú’érfèi è un’ espressione idiomatica cinese che fa parte dei “Chengyu” e si traduce in “lasciare qualcosa di incompiuto”. Secondo te questo concetto può diventare la metafora del processo stesso di integrazione della comunità cinese e italiana?

L’idea iniziale del collettivo era quella di raccontare l’integrazione tra italiani e cinesi a Prato attraverso il proprio linguaggio fotografico. Una volta lì ci siamo resi conto che una vera integrazione, culturale e sociale, oltre a quella commerciale, non c’è. Quella italiana e cinese sono due culture estremamente differenti che si sono sviluppate parallelamente nel corso dei secoli e a Prato si sono ritrovate a dover collaborare con le conseguenti difficoltà. Il nostro non è un punto di partenza o di arrivo ma di mediana per raccontare cos’è ora la città e quello che c’è ancora da fare, è un’analisi critica. Solo con una giusta sensibilità e intelligenza da parte di tutti è possibile raggiungere la piena e serena convivenza delle due comunità ma è un processo lungo e imprevedibile.

Perché rappresentare questa parziale integrazione in un cimitero, luogo in cui invece qualcosa si compie definitivamente?

Per il mio lavoro, avevo deciso di raccontare Prato senza mostrare figure umane iniziando a fotografare cartelli in diverse zone della città come la zona industriale del Macrolotto dove si incrociano gli interessi commerciali cinesi e italiani. Casualmente per una mia intuizione, ho esplorato anche i cimiteri dove la comunità cinese di Prato si incontra ulteriormente e si insedia nella cultura italiana.
Però il mio progetto non è solo sul cimitero ma vuole raccogliere una serie di situazioni e luoghi legati ad una cultura che ho avuto modo di vivere profondamente da Gennaio a Maggio di quest’anno presso lo Swatch Art Peace Hotel di Shanghai.

 

Chinastan

di Michele Lapini

Come Max Cavallari, anche tu hai voluto raccontare Prato e la comunità cinese senza la comunità cinese ma hai messo al centro del tuo progetto, i lavoratori pachistani. Come ti sei approcciato a loro? 

L’idea del mio progetto Chinastan, è venuta fuori da due motivi principali: prima di tutto la componente lavorativa migrante pachistana all’interno delle fabbriche cinesi è un elemento non molto noto, ma fondamentale all’interno del processo produttivo e fotografarla significava accendere un riflettore su di loro. Sono entrato in contatto con i lavoratori che ho poi fotografato grazie al sindacato S.I. COBAS che già conoscevo avendo seguito dei picchetti con loro. In occasione di Made in Prato ho documentato un picchetto di operai davanti a un’azienda tessile di proprietà cinese per chiedere gli stipendi e gli straordinari non pagati e il rispetto del contratto. Ai lavoratori è stato spiegato il progetto e le finalità e hanno deciso collettivamente di sostenerlo posando per i ritratti.
Si combatte così anche il cliché etnico del conflitto capitale-lavoro, perché in realtà il binomio sfruttati-sfruttatori non è una questione di provenienza geografica o di etnia ma solo e semplicemente di classe.

Perché affiancare le fotografie con gli articoli di giornale?

Per l’allestimento ho affiancato ai ritratti alcuni articoli di giornali trovati in Emeroteca con notizie di scontri e violenze contro i pachistani sottolineando in giallo le parole chiave per dare prima di tutto un contesto giornalistico alla vertenza dei lavoratori fotografati. In più ho voluto sottolineare il contrasto tra una narrazione che parla di loro solo in relazione a problemi di ordine pubblico e la loro quotidianità, attraverso i toni caldi delle fotografie e il freddo del bianco e nero degli articoli di giornale.

 

Piattaforma Prato

di Giulia Deganello e Erica Giacomazzi

L’interattività e l’interdisciplinarietà sono le caratteristiche principali della piattaforma Prato da voi creata ma qual è il funzionamento?

MADE IN PRATO è una piattaforma web work in progress che unisce principalmente i lavori fotografici di Chiara Pirra, Max Cavallari e Michele Lapini. L’intento di me ed Erica è quello di valorizzare i luoghi da loro vissuti durante la realizzazione del progetto, mettendo a confronto e in relazione lo spazio fisico e lo spazio virtuale. Visitando il sito, vi troverete davanti ad una mappa che mostra Prato attraverso la quale è possibile visitare virtualmente questi luoghi, segnalati da appositi pin, e ognuno indicante l’indirizzo e le coordinate dello specifico posto e il nome dell’autore con rispettivo collegamento alla pagina dedicata. Per accorciare ancor più la distanza virtuale, è possibile, cliccando sui pin, ritrovarsi a “passeggiare” in quei posti, immersi tra le vie e i monumenti della città di Prato. Con questa funzione interattiva il visitatore viene avvicinato il più possibile all’ambiente vissuto durante la realizzazione di Made in Prato, grazie all’utilizzo di mezzi tecnologici come appunto un sito e Google Street View.

La piattaforma non è un progetto statico ma anzi, si rende disponibile ad ulteriori contributi al fine di diventare una guida multimediale del territorio di Prato. In che modo è possibile partecipare e che caratteristiche devono avere i lavori proposti? 

Sopra ho accennato alla funzione di una guida multimediale, ma solo in chiave virtuale. Questo perché esiste un’ulteriore guida, dedicata a chi avrà la fortuna e possibilità di trovarsi a Prato fisicamente e che consiste in una reale corrispondenza tra luogo fisico e virtuale. Dopo aver individuato le coordinate dei luoghi attraverso le indicazioni della mappa sul sito ed essere riusciti a raggiungerli, vi troverete degli specifici QR code adesivi geolocalizzati che sono in relazione con lo spazio circostante. Scannerizzando con il vostro telefono, sarà possibile collegarvi virtualmente alla piattaforma Made in Prato e conoscere il progetto. Seguendo i vari pin segnalati, il visitatore percorre un sorta di tour a tappe e guidato virtualmente, tra cultura, centro storico e integrazione, che definiscono Prato.

Siamo inoltre alla ricerca di uno scambio di contenuti visivi ed editoriali di qualsiasi tipo che abbiano a che vedere con l’integrazione al giorno d’oggi, per aprire un dialogo e un confronto.

Contattateci a

info@madeinprato.info